L’attacco di panico o crisi di panico si manifesta come una eruzione incontrollabile di emozioni spiacevoli, una profonda sensazione di angoscia, di pericolo, accompagnato da una difficoltà respiratoria e aumento del battito cardiaco. Di norma ha una durata breve, pochi minuti, ma crea effetti devastanti sulla psiche, dato che la situazione è vissuta come il terrore di morire o di impazzire.
Gli altri sintomi fisici sono: fame d’aria, soffocamento, tachicardia, dolore toracico, dolore gastrico, nausea, vampate di calore, vertigini, affanno.
Ho riscontrato spesso durante l’attività clinica che chi soffre di crisi di panico presenta anche problemi di agorafobia: la paura di trovarsi in spazi aperti e sconosciuti. Questo problema induce la persona a richiudersi in un posto percepito come sicuro (es. la propria casa) con la speranza di poter controllare e contenere le emozioni sgradevoli se dovessero ritornare. La propria abitazione e gli spazi ritenuti familiari attenuano ma non risolvono l’ansia innescata da vissuti ipocondriaci: spesso c’è la convinzione di essere malati di cuore ed a rischio di infarto, nei casi più acuti si cerca costantemente il supporto di un accompagnatore nella vita quotidiana, subentra nella persona infatti il terrore di provare nuove crisi in situazione di solitudine.
Tra le cause psicologiche scatenanti ho riscontrato l’accumulo di stress, il cercare di tenere lontano da sé le proprie emozioni, una identità più fragile, un rapporto genitoriale o familiare che mina la solidità delle proprie sicurezze, situazione di perdita del proprio stile di vita o vissuti di lutto.
All’insorgere della crisi di panico spesso le persone si rivolgono al pronto soccorso, dove non riscontrando gravità fisiologiche, vengono rassicurate, sedate e dimesse; questo passaggio agli psicofarmaci determina una nuova preoccupazione nel soggetto, l’idea della pazzia.
Ritengo che la persona non può rimanere sola nella ricerca del proprio benessere perduto; non è sufficiente una diagnosi medica che dice: “solo stress” oppure “non è nulla di grave è solo ansia”, perché affrontare tale sofferenza con l’utilizzo esclusivo di psicofarmaci, aumenta il rischio di una solitudine affettiva la perdita dei legami sociali è di un avvelenamento del proprio vivere. Il mio consiglio è di non semplificare, banalizzare, ma al contrario di avviare un percorso di analisi individuale per approfondire, avvicinarsi alle paure, comprendere le emozioni, colmare vuoti, trovare le motivazioni per riacquisire la forza interiore e la serenità emotiva.